lunedì 19 maggio 2008

Gomorra



Chi vive tra Aversa e Casal di Principe si scontra ogni giorno con i soldi (quasi mai suoi), il potere ma soprattutto con il sangue e la violenza.
La possibilità di scegliere una vita normale è quasi pari a zero: se non vuoi essere cancellato, eliminato, devi sottostare al sistema.
L’universo criminale e “imprenditoriale” della camorra si intreccia con tutti i livelli della società, dalle insospettabili aziende che si occupano di “ripulire” l’Europa dalle scorie chimiche (nascondendole in cave trasformate in discariche abusive o direttamente nei terreni da coltivare) agli abiti griffati e contraffatti (in una lotta all’ultimo sangue e all’ultimo ribasso con i “nemici” cinesi) fino giù all’ultimo livello, alla manovalanza a bassissimo costo, alla carne da cannone di Scampìa, i ragazzini sottomessi e affascinati dai boss, che sognano e scimmiottano Scarface.
Matteo Garrone tira fuori dal libro di Saviano un film allucinato e allucinante, una discesa all’inferno (d’altronde la mitologia vedeva nel lago d’Averno vicino Pozzuoli, l’entrata agli inferi) che “disturba” lo spettatore che sa di non guardare una fiction ma, purtroppo, la realtà.
Gomorra non è un film, con buoni e cattivi. Forse sono tutti buoni o tutti cattivi, perché nessuno ha scelto cosa essere, ma ci si è trovato dentro dalla nascita, senza alternativa.
A differenza di tanti film-denuncia, che vogliono smuovere la sensibilità della società, Gomorra non dà giudizi, non emette sentenze, non presenta didascalie, ma mette lo spettatore di fronte alla realtà così com’è e sembra dirgli semplicemente “guarda, rifletti ed agisci di conseguenza: quello che vedi è la tua coscienza”.
I volti rozzi, duri, animaleschi dei protagonisti ( tra i quali spiccano le due belle interpretazioni di Toni Servillo e Gianfelice Imparato), i suoni quotidiani (musica trash, urla, pianti, imprecazioni, colpi di pistola secchi, veri non hollywoodiani) che si mischiano tra loro, i colori grigi, opprimenti di una realtà senza luce; tutto sembrerebbe dare l’idea di un mondo senza speranza.
Eppure, una flebile, fragilissima traccia c’è: nel sarto dotato di un grande talento (bella la figura creata da Salvatore Cantalupo) che, nauseato da ciò che vede intorno a sé abbandona il suo mondo e tenta di cambiare vita e nella vecchia contadina che, ostinata, continua a lavorare una terra che nessuno vuole più curare, perché conviene venderla alla camorra, per farci una discarica abusiva (costa meno fatica e rende molto di più).
emsi

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