giovedì 19 marzo 2009

Gran Torino

Un mito (era l'auto di Starsky e Hutch) per i trenta/quarantenni, da il titolo a questo ennesimo capolavoro di Clint Eastwood. Un film asciutto, duro, proprio come il regista-protagonista, una sorta di Harry Callahan in pensione. Un film senza effetti speciali, senza inutili lungaggini, prequel, sequel, flashback, flashforward che tanto vanno di moda ora nei film ma che fanno tanto serie televisiva (Lost docet). L'apparente scorbuticità, il linguaggio "politicamente scorretto", gli atteggiamenti razzisti non solo rivolti alla razza o al colore della pelle ma anche e soprattutto verso i figli ed i nipoti mediocri e smidollati (prova ne è quando afferma di avere più cose in comune con delle settantenni Hmong che con la sua famiglia) sono un tentativo del regista di far vedere agli Stati Uniti la loro realtà, così come già fatto nei precedenti lavori, Flags of our father e Letters from Iwo Jima, dove denunciava l'ipocrisia della propaganda negli Usa (ma in fondo in tutto il mondo ogni volta che c'è una guerra).
Insomma, mentre registi come Spielberg, DePalma, Scorsese sembrano aver perso parecchio smalto dai loro tempi d'oro, Eastwood è in forma smagliante e pronto a tirar fuori altre belle storie da narrare, seppur questa sembrerebbe essere stata la sua ultima apparizione davanti alla macchina da presa.
L'unica nota negativa del film è, a mio avviso, il doppiaggio soprattutto di Eastwood, con una voce forse troppo giovane, arrabbiata e troppo simile ad Harry Callahan.
emsi

1 commento:

Anonimo ha detto...

Assolutamente d'accordo, avevo notato anche io questa nota stonata del doppiaggio
BATW