martedì 26 maggio 2009

Un luogo incerto

Non amo particolarmente i personaggi “seriali”. Trovo che il ruolo di un autore e del protagonista di libri, romanzi o film, ne escano sviliti, quasi “impiegatizzati” nel fare, scrivere o recitare sempre le medesime parti. Ho letto qualcosa di Camilleri-Montalbano ma, alla lunga, “scassa i cabbasisi”, sempre a nuotare, mangiare polipetti, olive e formaggio. Stessa cosa nel cinema: certo, ci sono figure alle quali sono affezionato come Sellers-Clouseau, Ford-Jones, Connery-Bond. Ma secondo me sono casi limite; ve lo immaginate voi, Sean Connery che, a un quarto alle otto di mattina tutto azzimato in smoking e col Martini in mano, esce per andare, chessò, a ritirare un vaglia all'ufficio postale della Magliana e l'impiegato fa “Com'è il nome, scusi?” “Bond geimsbond” “Ah no, guardi, gli stracommunitarii all'antro sportello, ar dieciotto” Nel mentre che entra Checco, barista sedicenne sovrappeso del bar “Da Libbano&Freddo” che fa “A Sciancò datte 'na mossa che le guardie te se stanno a caricà la machinandoppiafilaaaa !!!” Dai su, mi si svilirebbe la figura del personaggio eroico, nello specifico un baronetto di Sua Maestà. Ecco perché, torno a dire, il personaggio seriale, se da un lato rassicura con i suoi comportamenti familiari, dall'altro, dai e dai perde smalto, verve, non mi è più il ghepardo di una volta. Chi mi aveva illuso era madame Vargas, con lo “spalatore di nuvole” Adamsberg ed il contorno, intrigante e saporito dei vari Danglard, Retancourt, Mordent, Veyrenc e via discorrendo. Chi mi conosce dirà “embè ma so francesi, te pare che nun te piace”, conoscendo l'idolatria quasi “zerbinesca” del sottoscritto nei confronti della nostra “amata” cugina d'oltralpe. E in parte è vero. Però le cose che avevo letto della scrittrice francese - finora pessimamente pubblicate in rigoroso disordine cronologico da Einaudi – le avevo trovate interessanti; quest'ultimo romanzo, invece, è un pastrocchio noioso, una storia tirata per i capelli, che si dilunga e poi si chiude in due pagine, con personaggi al limite del credibile, insomma una delusione; ho avuto la sensazione di qualcosa scritto a comando o meglio “a contratto”. A mio avviso, il ciclo di Adamsberg – che tra l'altro ho scoperto aver avuto in patria un paio di riduzioni televisive – sta mostrando qualche segno di logorio, mentre la Vargas aveva abbandonato i protagonisti dei suoi primi romanzi, i cosiddetti Evangelisti, quelli si ancor più intriganti ma con minor appeal verso il pubblico. Diciamo, allora, che il mio giudizio sulla Vargas è al momento sospeso, in attesa di leggere il suo primo romanzo “Chi è morto alzi la mano” di cui ho letto sempre ed ovunque un gran bene, sperando che nel prossimo romanzo accantoni momentaneamente l'anticrimine di Parigi (Adamsberg in vacanza – anche se non mi pare il tipo ….) e riprenda il filo del discorso con quegli strani personaggi come Vandoosler il Vecchio, san Matteo, san Luca e san Marco o Kehlweiler col rospo Bufo.

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