Questa volta Woody Allen ha fatto centro.
Dopo diverse pellicole al di sotto dei suoi migliori lavori, con Midnight in Paris ha ritrovato il suo tocco originale, leggero e piacevole.
Ed in ciò è stato aiutato da un'ottimo Owen Wilson, qui suo alter ego (oggi i più cool direbbero "suo avatar").
Parigi è volutamente stereotipata, resa ancor più finta di una cartolina o di un depliant dell'ufficio del turismo; ma c'è una ragione: l'intenzione da parte del regista di smascherare quello che, in fondo, fanno molti di noi: mitizzare un luogo, un personaggio o un'epoca da noi lontani od irraggiungibili, col solo scopo di creare un alibi ed una giustificazione alla nostra vita talvolta piatta, noiosa o priva di slanci.
Ed allora ci rifugiamo nelle giustificazioni "... ah se solo fossi vissuto a ..." oppure "... se avessi potuto vivere come ...", e via dicendo, sognandoci scrittori poveri ma felici e creativi nella Parigi ruggente della festa mobile o artisti iperattivi a N.Y., Londra o Barcellona.
Ma la nostra vita è una ed unica e siamo solo noi gli artefici del nostro destino (faber est suae quisque fortunae ... e senza vocabolario); quindi basta piangersi addosso ("se avversa t'è la sorte e negato t'è il successo, smetti di far castelli in aria e vai a piangere sul ...") se volete lasciare il sicuro posto di sottovicecontabile nel reparto approvvigionamento e magazzino di una fabbrica di bidet del basso frusinate, perché dentro di voi sentite ardere il sacro fuoco dell'arte e sapete che la vostra vera vita vi aspetta in un misero e sconosciuto borgo delle Asturie, dove vivrete di stenti e tele imbrattate ma felici, beh allora fatelo e lasciate il vostro posto ad un giovane disoccupato.
Farete risparmiare anche una lagrima alla ministressa Elsa Fornero.
Se invece il vostro ideale di vita è fare lo sciuscià o lustrascarpe, allora il vostro film di natale è "Miracolo a Le Havre" di Aki Kaurismaki, che è finlandese ma non è un campione di sci nordico né di curling, non è un asso del rally né del salto dal trampolino, ma un regista.
Ed anche bravo.
Avevo già visto un suo film in passato (ma non ricordo quale); ero pertanto curioso di vedere questo.
E' molto gradevole, quasi una favola natalizia sul bisogno di solidarietà e di aiuto reciproco.
Una fotografia ed una luce uniche, tipiche del cinema di Kaurismaki.
Il film è avvolto in un'atmosfera molto particolare, ben resa anche dai personaggi che ruotano attorno ai protagonisti; il commissario rude ma buono che sembra arrivare da un vecchio polar biancoenero e che ha il volto segnato di Jean Pierre Darroussin; i vicini di casa ed i negozianti del quartiere che creano un'inaspettata rete di reciproco aiuto, il grottesco personaggio di Little Bob (credo che mi scaricherò la discografia completa) protagonista di un concerto decisamente sopra le righe ed il curioso cameo-omaggio di Jean Pierre Leaud, l'Antoine Doinel icona della nouvelle vague.
Però Le Havre è veramente brutta e solo il tocco artistico e gentile di Kaurismaki può farla apparire diversa sotto un raggio di tiepido sole.
Dopo diverse pellicole al di sotto dei suoi migliori lavori, con Midnight in Paris ha ritrovato il suo tocco originale, leggero e piacevole.
Ed in ciò è stato aiutato da un'ottimo Owen Wilson, qui suo alter ego (oggi i più cool direbbero "suo avatar").
Parigi è volutamente stereotipata, resa ancor più finta di una cartolina o di un depliant dell'ufficio del turismo; ma c'è una ragione: l'intenzione da parte del regista di smascherare quello che, in fondo, fanno molti di noi: mitizzare un luogo, un personaggio o un'epoca da noi lontani od irraggiungibili, col solo scopo di creare un alibi ed una giustificazione alla nostra vita talvolta piatta, noiosa o priva di slanci.
Ed allora ci rifugiamo nelle giustificazioni "... ah se solo fossi vissuto a ..." oppure "... se avessi potuto vivere come ...", e via dicendo, sognandoci scrittori poveri ma felici e creativi nella Parigi ruggente della festa mobile o artisti iperattivi a N.Y., Londra o Barcellona.
Ma la nostra vita è una ed unica e siamo solo noi gli artefici del nostro destino (faber est suae quisque fortunae ... e senza vocabolario); quindi basta piangersi addosso ("se avversa t'è la sorte e negato t'è il successo, smetti di far castelli in aria e vai a piangere sul ...") se volete lasciare il sicuro posto di sottovicecontabile nel reparto approvvigionamento e magazzino di una fabbrica di bidet del basso frusinate, perché dentro di voi sentite ardere il sacro fuoco dell'arte e sapete che la vostra vera vita vi aspetta in un misero e sconosciuto borgo delle Asturie, dove vivrete di stenti e tele imbrattate ma felici, beh allora fatelo e lasciate il vostro posto ad un giovane disoccupato.
Farete risparmiare anche una lagrima alla ministressa Elsa Fornero.
Se invece il vostro ideale di vita è fare lo sciuscià o lustrascarpe, allora il vostro film di natale è "Miracolo a Le Havre" di Aki Kaurismaki, che è finlandese ma non è un campione di sci nordico né di curling, non è un asso del rally né del salto dal trampolino, ma un regista.
Ed anche bravo.
Avevo già visto un suo film in passato (ma non ricordo quale); ero pertanto curioso di vedere questo.
E' molto gradevole, quasi una favola natalizia sul bisogno di solidarietà e di aiuto reciproco.
Una fotografia ed una luce uniche, tipiche del cinema di Kaurismaki.
Il film è avvolto in un'atmosfera molto particolare, ben resa anche dai personaggi che ruotano attorno ai protagonisti; il commissario rude ma buono che sembra arrivare da un vecchio polar biancoenero e che ha il volto segnato di Jean Pierre Darroussin; i vicini di casa ed i negozianti del quartiere che creano un'inaspettata rete di reciproco aiuto, il grottesco personaggio di Little Bob (credo che mi scaricherò la discografia completa) protagonista di un concerto decisamente sopra le righe ed il curioso cameo-omaggio di Jean Pierre Leaud, l'Antoine Doinel icona della nouvelle vague.
Però Le Havre è veramente brutta e solo il tocco artistico e gentile di Kaurismaki può farla apparire diversa sotto un raggio di tiepido sole.
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